il wayang kulit


Il teatro d’ombre, il wayang kulit, è alle sue origini una rappresentazione sciamanica in cui vengono evocati gli antenati, sotto forma di ombra, per comunicare con i loro discendenti. Dalle nove di sera alle tre di notte il dalang, il manovratore delle figurine di cuio, narra e canta ininterrottamente gli episodi della grande epica indù, il Ramayana, la mistica storia del principe Rama nella foresta, o il Mahabharata, la lunga guerra fratricida fra i discendenti di Bharata, i cinque fratelli Pandawa e i cento Korawa.
Il dalang, che in gioventù è stato consacrato sacerdote nel tempio con parole magiche scritte col miele sulla lingua, è il saggio per eccellenza, il sapiente, colui che narra al popolo, e soprattutto ai bambini, la storia degli Dei e degli Antenati, e i conflitti eterni della vita umana; la lotta fra il bene e il male, la luce e le tenebre, la vita e la morte.
La scena del Wayang Kulit è un microcosmo simbolico, un intero mondo spirituale: lo schermo bianco è il cielo, la lampada che lo illumina il sole, il tronco di banana su cui il dalang fissa le figurine di cuoio è la terra. E le ombre evanescenti proiettate sono gli uomini, manovrati dal Dio, il dalang, che dirige l’orchestra dandogli il ritmo con il piede, dà vita da solo a tutti i personaggi, eroi e demoni; li muove, dà loro la voce. Canta a memoria la storia in Kavi, l’antico linguaggio di Java, con quarantasette ritmi diversi ed impersona anche i clowns, i buffoni, che improvvisano la traduzione degli avvenimenti in balese. E dopo oltre cinque ore di spettacolo, nel cuore della notte, canta l’insegnamento fondamentale:
non ci può essere bene senza male, non ci può essere male senza bene;
la vita e la morte sono un conflitto senza fine, senza vincitori o vinti, ma bisogna comunque tendere al bene 



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